Passopisciaro è interamente
posto all’interno della lussureggiante Val Demone, una delle tre valli
in cui gli Arabi divisero convenzionalmente la Sicilia nel 827 all’epoca della
loro conquista, tra il fiume Alcantara, Akis per i Greci, Onobala per i
Latini, e l’Etna, Aetna per i Greci o Gibel Hulhmet per gli Arabi.
Una valle piena di storia e contesa da moltissimi popoli, dai
Sicani ai Siculi, dai Fenici ai Cartaginesi,
dai Greci ai Romani, dai Bizantini agli Arabi, dai Normanno
Svevi ai Francesi e agli Spagnoli, i Mille nel 1860 e
gli Alleati nell’ultima guerra mondiale.
Molti sono i cimeli e le testimonianze del loro passaggio
nella valle: gli echi di Tissa, l’antica città dei Siculi posta
nelle zone adiacenti il fiume Alcantara, in contrada Iannazzo, le chiese
bizantine, denominate Cube, di Malvagna, e le medievali Randazzo e Castiglione
di Sicilia.
Degli antichi Romani ci rimane la strada consolare,
oggi Strada Statale 120, sulla quale il paesino trovasi.
Molti condottieri e personaggi illustri hanno calpestato la
fertile terra di questa valle, il Generale cartaginese Imilcone, il
condottiero arabo Bnsa Mar, il Re Normanno Ruggero di Lauria, lo
Svevo Federico II (1300), l’aragonese Carlo V
Imperatore (1550), Giuseppe Garibaldi (1860), i Reali
d’Italia nel secolo 900, il Gen. Alfredo Guzzoni, il Gen. Frido
von Senger und Etterlin e il Gen. Paul Conrath che, nel 1943, a
Passopisciaro hanno dimorato durante il ritiro delle truppe italo tedesche
verso la Calabria.
La popolazione di Passopisciaro non è molto numerosa,
è di circa 400 abitanti, ma in passato, quando il paesino ha conosciuto una
certa prosperità economica, ha anche raggiunto il numero di 1500 residenti.
Nasce, alla fine dell’800, dal desiderio di comunità dei
primi contadini che qui si insediarono.
Da notare la non casualità del disegno urbano, come allora
succedeva per questi piccoli agglomerati di case, ampi marciapiedi, prospetto
simmetrico delle abitazioni, strade larghe, che mette proprio in risalto la
volontà precisa di farlo nascere.
Attorno al piccolo nucleo urbano una serie di ville baronali
i cui proprietari sono gli stessi che qui avevano portato questi contadini come
persone di fiducia.
Citiamo Villa Corso, che ha visto dimorare tra le sue mura il
grande fisico catanese Ettore Majorana, villa di proprietà del nonno
Luciano Corso poi, in eredità, alla madre di Ettore, Dorina.
Villa Vagliasindi: Villa Pennisi del Canonico e Tesoriere
della Cattedrale di Acireale Rosario Pennisi Cesarò: Villa Cimino (Vigo): Villa
Scuderi: Villa Grassi Voces: Villa Musmeci della Baronessa Isabella e molte
altre ancora.
Passopisciaro ebbe una discreta importanza nei primi decenni
del 1900, tanto che, Vincenzo Sardo Sardo, nel suo Castiglione Città
demaniale e Città feudale, pubblicato nel 1910, non esita un istante a
definirlo uno dei centri più importanti della provincia di Catania.
Non a caso nasce al centro delle migliori contrade (e micro
contrade) in cui si produce nerello mascalese, il vitigno autoctono dell’Etna, sia
per clima, per posizione orografica ed esposizione, Moganazzi, Marchesa, Sciaranuova,
Santo Spirito, Arcuria, Feudo di Mezzo, Guardiola, Zotto Rinoto, Porcaria, Croce
Monaci.
Il dopoguerra lascia una situazione economica disastrata che
porterà Passopisciaro quasi ad annullarsi, dai suoi 1500 abitanti del 1958 sino
ai 400 attuali, cedendo più dei due terzi dei suoi residenti.
Dalla fine degli anni 90, l’arrivo di grossi produttori vitivinicoli
sta rilanciando non solo tutto il territorio castiglionese ma lo stesso
Passopisciaro, tanto da essere definito da Giancarlo Gariglio, su La Stampa
del 12 aprile del 2012, il centro della rivoluzione enoica dell’Etna.
Periodo Borbonico
E da fare, probabilmente, risalire a questo periodo l’etimo che
dà il nome al paesino attraverso una leggenda che narra della presenza del
brigante Ciccu Zummu in questi luoghi.
Lo Zummu (Francesco Zumbo), nel tentativo di prendere in giro
il Capitano Giustiziere della Real Gran Corte di Randazzo, coinvolge un ignaro
pescivendolo, in siciliano pisciaro, lo aspetta al varco e lo uccide.
Da quel giorno il luogo prende il nome di passo del
pescivendolo, in siciliano passu du pisciaru.
Dalle parole di Vincenzo Sardo, di Santi Correnti e altri
autori:
”Tra il Seicento e il Settecento i luoghi su cui Passopisciaro
sarebbe sorto erano infestati dal bandito Ciccu Zummu e dal suo compagno di
malefatte soprannominato Testazza. Il brigante era temerario a tal punto che,
avendo saputo che il Capitano Giustiziere della Real Gran Corte di Randazzo
aveva messo una taglia sulla sua testa, decise di giocargli una beffa.
Sequestrò il pescivendolo, si travestì dei suoi umili abiti, e con il paniere
sotto il braccio si recò a Randazzo per vendere i pesci allo stesso Capitano
Giustiziere. Uscendo poi dal paese, il bandito prese in giro anche le guardie
di fazione alla porta Aragonese, raccomandando loro di arrestare al più presto
il famigerato Ciccu Zummu affinché tutta quella zona fosse liberata una volta
per tutte dal terrore. Le sue tracce sarebbero state con cotanta abilità
cancellate, di modo che rimanesse il dubbio se la presenza dello Zumbo fosse stata
apparizione o realtà. Ma, appena uscito da Randazzo, decise di svelare la sua
vera identità al primo viandante che incontrò, e così si seppe dell’audace
beffa giocata dal bandito castiglionese al Capitano Giustiziere. Per evitare
poi al vero pescivendolo la seccatura di essere arrestato, dato che ormai si
era sparsa la voce del suo travestimento, Ciccu Zummu pensò bene di fargli la
“cortesia” di ucciderlo: lo attese al varco nel punto dove la strada si
biforcava (e si biforca tuttora) per scendere verso il fiume Alcantara, e con
fredda crudeltà lo uccise. E così, per la ferocia del brigante Ciccu Zummu, il
luogo prese il nome di Passopisciaro, cioè “il passo del pescivendolo”,
toponimo che ancora oggi porta.”.
È possibile, però, che l’etimo possa anche derivare dalla
lingua parlata.
Passopisciaro si trova al centro di quello che era il Feudo
delle Sciare per cui, per andare nelle due direzioni, lungo la allora
strada Regia, già Consolare, di Randazzo e Linguaglossa, si doveva
necessariamente passare da qui.
Passare per le Sciare, inteso come Feudo delle Sciare, in
siciliano si direbbe, passu pi sciari, simile all’attuale toponimo.
Ancora del periodo borbonico, sempre per confermare la
presenza del toponimo prima della nascita del paese stesso, è la costruzione
della strada cosiddetta Salicà/Pisciaro, una arteria nata per
congiungere, come da progetto di Re Ferdinando II di Borbone, nel 1840 circa,
la costa tirrenica con la zona etnea.
Nasce il moderno incrocio tra la SS 120 e la provinciale
7/III, uno dei più importanti e nevralgici della rete viaria siciliana.
Agorà passopisciarese, al centro di questo incrocio è posta La
Colonna, un antico segnale stradale, totalmente in pietra lavica, di cui
non si hanno notizie precise sul periodo della sua edificazione, e si suppone
anche che la sua costruzione possa essere datata prima della nascita
dell’incrocio e che possa anche avere avuto altri utilizzi.
È il simbolo di Passopisciaro.
L’Unione di Italia
Dopo la caduta del feudalesimo (1812), per Regio Decreto di
Ferdinando I di Borbone, si assiste ad un progressivo frazionamento degli ex
feudi baronali e demaniali e alla concessione, in enfiteusi, degli stessi.
Tali ex feudi rimasero comunque nelle mani di facoltosi
proprietari, ed ai contadini non rimase che seguirli come lavoranti e loro
persone di fiducia.
L’arrivo di questa massa di contadini diede vita a molte abitazioni
sparse, quelle che i documenti dell’epoca chiamano punto affollato Passo del Pisciaro.
Ma è sotto i Reali d’Italia che Passopisciaro vede la sua
fondazione, come centro abitato, quando spinti dal desiderio di comunità,
questi contadini diedero vita a Passopisciaro con la costruzione delle prime
case dell’attuale centro abitato.
Dalla nascita del sogno passopisciarese, ai primi del ‘900 si
censirono quasi mille abitanti.
Uno sviluppo demografico imponente, nel giro di pochi
decenni, da una ipotetica nascita tra il 1870/80 si arriva agli 808 abitanti
del 1900, ai 1080 del 1921, ai 1500 del 1954.
La popolazione passopisciarese, quella delle origini, non
era indigena, la maggior parte di quei primi contadini non proveniva dalla
valle in cui Passopisciaro si trova.
Ciò non deve considerarsi una sorpresa, poiché i
proprietari terrieri, non essendo locali, per difendere i propri interessi si
servirono di persone di fiducia portate dai loro luoghi d’origine, Acireale in
particolar modo.
Ciò spiega come mai a Passopisciaro si parla un
dialetto diverso dai dialetti dei paesi vicini, più simile a quelli della costa
ionica, da cui i primi abitanti provenivano, che non da quelli della montagna,
dove Passopisciaro effettivamente vide i natali.
In tutta la val Demone, gli abitanti di Passopisciaro
sono gli unici a pronunciare il pronome IO in IU’, cosa che si
riscontra solo nelle zone di Catania, Acireale e Giarre, che poi sono proprio i
luoghi di origine di quasi tutti i proprietari e dei contadini che all’epoca li
seguì.
Il motivo che spinse questi imprenditori, così
possiamo definirli, a giungere in questi luoghi, fu la grande richiesta di vino
sul mercato verso la metà del 1800.
Senza timore di essere smentiti, il luogo migliore in
cui si produce vino, sia per clima (la nebbia, ad esempio, è un evento assai
raro) sia per posizione geografica, è proprio Passopisciaro.
E questa non è presunzione o campanilismo, ma una
presa d’atto, infatti, in una ipotetica giurisdizione passopisciarese, come da
documento dell’Ufficio Tecnico Erariale di Catania del 1949, rientrano le
migliori contrade universalmente riconosciute dai produttori di vino, le già
citate Moganazzi, Marchesa,
Sciaranuova, Santo Spirito, Arcuria, Feudo di Mezzo, Guardiola, Zottorinoto,
Porcaria; Croce Monaci, delle quali Passopisciaro è epicentro.
Ovvio che ciò non è merito di Passopisciaro, le
contrade esistevano già prima della sua nascita, ma viene confermata la scelta
di queste plaghe proprio per la bontà e la vocazione di questa parte di
territorio etneo che ben si presta alla produzione di eccellenza che è il vino
dell’Etna.
Cosi come confermano alcuni testi dell’epoca, questa
centralità diede a Passopisciaro una certa importanza richiamando in loco molti
investimenti e di conseguenza tanta manodopera.
La piccola valle dentro cui Passopisciaro in seguito
sorse, venne ad essere frazionata dai loro antichi proprietari, rendendola
edificabile andando a sottolineare la non casualità del suo impianto urbano.
Si assiste così alla nascita delle grandi e piccole strade,
alle canaline in pietra lavica per la confluenza delle acque bianche, alla
simmetria delle loro abitazioni, e soprattutto ai grandi marciapiedi,
caratteristica questa solo dei centri più grossi di Randazzo e Linguaglossa.
Tra il 25 maggio 1879 alle ore 15 e 45 circa e il 7 giugno
1879, l’Etna cambiò radicalmente l’orografia del luogo su cui Passopisciaro
poco dopo sarebbe sorto, andando a distruggere boschi di castagno, noccioleti,
vigne, oltre al ponte sul Torrente Pisciaro/Santo Spirito presente sulla SS
120.
La lava defluì quasi totalmente dentro al letto del torrente
e andò a fermarsi quasi a ridosso del fiume Alcantara.
La colata è ancora ben visibile al centro del paese, su di
essa è nato uno dei quartieri di Passopisciaro: Croce San Marco.
Attorno al vino, il prodotto principe dell’economia
del nascente paesino, si sviluppò il cosiddetto indotto.
Le tre fabbriche di alcool etilico (due già negli anni
venti) che lavorarono a pieno regime fino alla fine degli anni sessanta.
La cantina di vino Calì Tabuso & figli,
servita, nel suo interno, dai binari della Circumetnea, che, a sua volta, aveva
visto la nascita proprio negli stessi anni dello sviluppo di Passopisciaro: il 1896.
Su progetto dell’Ingegner Francesco Paradiso, il 1895
vede la posa della prima pietra della chiesa Maria SS del Rosario di
Passopisciaro voluta dal Canonico Rosario
Pennisi, già Tesoriere della Cattedrale di Acireale, alla cui edificazione
parteciperanno, ognuno con le proprie competenze, i primi abitanti del nascente
borgo.
Di struttura non indifferente per una realtà ancora così
piccola, andrà a sostituire le Cappelle private e la piccola chiesetta di
contrada Santo Spirito di cui si parlerà alla sezione ARTE.
Nel 1897, completata l’edificazione, il tempio fu benedetto e
consacrato da Mons. Fernando Cento allora vescovo ausiliario di Mons. Gerlando
Maria Genuardi.
Sarà eretto parrocchia nel 1921 e consegnato nelle mani
dell’ultimo cappellano e primo parroco don Gaetano Leonardi.
Dagli inizi del 900 si assiste ad uno sviluppo di
Passopisciaro che ha quasi dell’incredibile, sia da un punto di vista economico
sia sociale, con la nascita di arti, mestieri, fabbriche per la distillazione
dell’alcol etilico, segherie, piccole botteghe artigiane.
La Caserma dei Carabinieri, gli Uffici Comunali e le vecchie
Poste e Telegrafi.
La nascita della ferrovia Circumetnea ebbe un impatto
determinante nello sviluppo economico di Passopisciaro, il vino passopisciarese,
una volta scaricato a Riposto, avrebbe raggiunto lidi lontanissimi, la Toscana, il Piemonte (avrebbe
tagliato i rinomati Chianti e Barolo), la Francia e la grande madre Russia.
La Prima Grande Emigrazione
La vitivinicultura aveva dato una certa stabilità e dignità,
ma le politiche economiche del governo centrale insieme ad altre problematiche politico/economiche,
devastarono totalmente l’economia della Sicilia, minando lo sviluppo dell’isola
e la sua emancipazione sociale.
Tutto divenne insopportabile e la tensione sociale sfociò in
rivolta popolare detta dei Fasci Siciliani poi soffocata violentemente da
Francesco Crispi nel 1894.
Alle masse lavoratrici della Sicilia non rimase che
l’Emigrazione.
Le Americhe.
Molti tentarono fortuna negli Stati Uniti d’America, dove Rochester
divenne una specie di enclave passopisciarese, infatti, raccontano alcuni emigranti
che, una volta giunti in America, passeggiando per le vie della cittadina
statunitense sembrava di essere tornati a Passopisciaro.
Famiglie intere si ricongiunsero in terra americana dopo aver
subito l’onta dei viaggi in terza classe tra vomito e pianti, l’umiliazione di
Ellis Island e la mortificazione dell’essere bisognosi in terra straniera
ma…sopravvissero e in tanti fecero grandi cose.
La Prima Guerra Mondiale
Il conflitto ebbe inizio il 28 luglio 1914 con la
dichiarazione di guerra, dell'Impero austro-ungarico al Regno di Serbia, in
seguito all'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando d'Asburgo-Este
avvenuto il 28 giugno 1914 a Sarajevo.
Detta anche la Grande Guerra, la prima guerra mondiale è stato
uno dei conflitti più cruenti per il quale si stima un numero totale di
vittime, tra militari e civili, che può arrivare a superare i 17 milioni di
morti.
Anche Passopisciaro pagò il suo tributo in esseri umani,
quattro giovani vite perirono al freddo e al dolore delle battaglie: i soldati Salvatore
Foti, Mariano Gullotto, Salvatore Panebianco e Francesco Coco.
A loro il ricordo di un monumento alla memoria e tre vie a
loro dedicate.
“Si, abbiamo vinto, ma vinto cosa! A quale prezzo! Un
monumento ai caduti in ogni città su cui nessuno si fermerà a pensare? Al
prezzo di giovani vite spezzate, di strazi, di ferite interiori e corporali? Al
prezzo della morte! Il premio? Sono tornato a casa, ma molti di noi non
ritorneranno mai più. Sono morto, laggiù, con loro.”, ci dice Saro nel
romanzo Cent’anni interamente ambientato a Passopisciaro.
La guerra lasciò un grande strascico anche da un punto di
vista economico sociale: si erano portati via i giovani per tre, lunghi, anni
lasciando un paesino invecchiato e senza forza lavoro.
La lava del 1923 e la festa di Maria SS del Rosario
17 giugno 1923, alle ore 14 la lava aveva già raggiunto una lunghezza di 9
Km, continuando sulla direttiva della stazione di Cerro. Intanto un altro
braccio si avanza minaccioso sull'altra stazione di Passopisciaro.
Così riporta l’evento il Professor Raccuja.
Il braccio di destra (quello centrale distruggerà la
stazione di Cerro e il paesino di Catena) scendendo dalla contrada
Germaniera, per dirigersi, su Passopisciaro, distrusse terreni, boschi e
vigneti.
Portavoce degli stati d’animo dell’intera comunità di
Passopisciaro è il signor Salvatore Fazio, che così scriveva sul libro dei
verbali del Circolo Rosario Pennisi:
Dal giorno 11 giugno(domenica) al 22 luglio pochissime sedute
tiene il circolo, sia per il caldo sia per il disorientamento prodotto
dall’eruzione del fuoco dell’Etna che distrusse vigneti, case, terreni nel
comune di Castiglione e di Linguaglossa, minacciando pure per qualche tempo,
Passopisciaro…”.
In preda alla paura ed alla rassegnazione, ai
passopisciaresi non rimase che rimettersi nelle mani della celeste patrona
Maria SS del Rosario che condussero in processione sino alla Colonna.
La lava, miracolosamente, fermò la sua ferale marcia,
e Passopisciaro, ma soprattutto i suoi terreni coltivati, furono salvi.
Da questo umile gesto, di semplici contadini, nasce la
pratica devozionale che si concretizza nella processione del simulacro di Maria
SS del Rosario, per le vie cittadine, ogni 17 giugno.
In seguito, per permettere che alla popolazione tutta di partecipare
alla festa di ringraziamento, negli anni a seguire si decise di spostare la
processione ad un giorno festivo individuato nella prima domenica di luglio.
Tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale
Fu un
periodo di grandi fermenti socio economici per Passopisciaro che cresce
urbanisticamente ed economicamente.
Una miriade di botteghe artigiane; falegnami, ebanisti e mastri bottai; stagnini e maniscalchi;
la pietra lavica era murata a secco per i terrazzamenti nelle vigne e per le
abitazioni; sarti e sarte; calzolai.
Le distillerie per la produzione dell’alcool etilico, Giuffrida,
Russo e Calabretta, la segheria, gli empori, il negozio di tessuti della
signora Razia a Ddaruna (Grazie a Calì Daidone),
l’osteria di donna Rosa Fontana, il calzaturificio di Francesco Mazza, il pastificio di Carmelo Di Bella, la farmacia, negozi
alimentari, e come Padre Leonardi riporta nell’editoriale del suo Eco di Passopisciaro del 1924, anche la stazione
dei Carabinieri e la Banda Musicale.
Gli Uffici Comunali e il Vigile Urbano, il Sindaco Delegato,
le scuole materne, elementari e l’avviamento al lavoro, una sorta di istruzione
superiore.
Si imparava a lavorare andando o mastru/a, le ragazze,
soprattutto, imparavano a cucire e a ricamare.
Il resto della popolazione lavorava nelle vigne.
Mancava solo quel Cimitero tante volte richiesto a
gran voce dai passopisciaresi già in questa epoca, ma che per averlo si è
dovuto aspettare sino agli inizi degli anni settanta.
L’avvento del Fascismo non cambiò, sensibilmente, la vita del
tranquillo paesino, qualche istruzione nel piazzale della stazione vestiti da
Figli della Lupa e Piccole Italiane, qualche regoletta autoritaria, il Credere
Obbedire Combattere sulla facciata di qualche casa, qualche canzoncina di
propaganda e il coprifuoco nel periodo più movimentato, non scosse in modo
particolare la vita di questi contadini che comunque andavano a letto presto
vista la fatica insita nel loro lavoro.
Solo con lo scoppio della seconda guerra mondiale e la chiamata
alle armi di tanti ragazzi del piccolo borgo tolse la serenità a questa piccola
comunità.
La Seconda Guerra Mondiale
Lo sbarco degli Alleati in Sicilia, il 10 luglio 1943, preceduto
da asfissianti bombardamenti, spazzò la serenità e il sorriso dei siciliani.
Il 13 luglio, il bombardamento di Enna e l’impossibilità di
poter difendere tale posizione spinse il Generale Alfredo Guzzoni, in
accordo con il generale tedesco Frido von Senger Und Etterlin, di
spostare il comando proprio a Passopisciaro per arroccarsi sull’Etna.
Probabile si stabilirono nel Palazzo Scuderi,
bellissimo esempio di architettura Liberty, ma non vi è certezza giacché
nessuna notizia, atta a confutare questa ipotesi, ci arriva dal passato.
Etterlin si stabilì a Casa Giuffrida quasi di fronte a Palazzo Scuderi.
I Tedeschi del generale Paul Conrath rimasero a
Passopisciaro, accampati attorno al palazzo della Baronessa Musmeci, a
Guardiola, sino al 9 di agosto, così come ci conferma il diario di un soldato
tedesco.
Il Quartier Generale del Generale Guzzoni rimase a
Passopisciaro circa una settimana, in seguito, spinti dall’arrivo degli
americani su Randazzo si spostarono su Sella Mandrazzi prima, su Messina poi, per
raggiungere, infine, le coste calabresi.
I Bombardamenti del 13 Luglio 1943
Al ritorno dal bombardamento di Randazzo, il probabile avvistamento
di due camion militari tedeschi e italiani fermi alla Colonna, due Cacciabombardieri
B25 Mitchell, i famigerati aerei a due code vivi nel ricordo dei
passopisciaresi, sganciarono, in due violenti attacchi, dodici ordigni
esplosivi.
Erano le 2 e 45 pomeridiane del 13 luglio 1943.
Passopisciaro fu avvolto da una nube densa, infernale.
Bruciavano gli occhi.
Il silenzio piombò come morte sul piccolo paesino, un
silenzio assordante.
Diradato il fumo, la paura, l’ansia, non rimase che la disperazione,
lo sdegno, il caos, i pianti, una miriade di schegge ancora calde, le macerie
di umili abitazioni.
Rimasero i morti.
Francesca Citrà, Vincenza Citrà di 22 anni, Giovanni Citrà di18
anni, Carmela Miceli e la figlia Rosaria Petralia di 22 anni, e le
sorelle Concetta e Angela Nicotra, rispettivamente di 17 e 14 anni.
Brandelli di cose, che fino a pochi istanti prima avevano un
motivo d’essere, furono catapultate a centinaia di metri di distanza, sopra i
tetti di quelle stesse misere case che miracolosamente erano scampate al
disastro. Polvere, macerie, lamenti e grida si mischiavano in un’unica
percezione di terrore, di senso di afflizione, di tanfo di morte. E li chiamano
liberatori questi miricani! (Cent’anni di Maurizio Papotto)
Seguì lo sfollamento e Passopisciaro fu totalmente svuotata
dei suoi abitanti che si riversarono nelle grotte di Moganazzi, di Collebasso e
nelle casette rurali delle proprie vigne sparse per tutte il comprensorio
passopisciarese.
In paese rimasero i pochi coraggiosi per proteggere le abitazioni
e i loro pochi averi dagli sciacalli.
Si rimase lontani dalle proprie abitazioni, dalla propria
quotidianità sino al 13 agosto 1943, quando gli Alleati entrarono in
Passopisciaro.
I soldati americani ebbero il compito di MP, la Military Police,
e collocarono il loro Comando alla Casa Cantoniera e l’accampamento nel
piazzale della FCE.
Gli inglesi, a cui spettò il compito di pattugliare il territorio
alla ricerca di sperduti soldati tedeschi e italiani, si accamparono nella
villa dell’On. Grassi Voces, l’odierna Etna Wine.
La lava del 1947
Era il 24 febbraio del 1947 quando i passopisciaresi furono
destati, nel silenzio delle loro case, dal fuoco dell’Etna.
Quasi in sordina e senza particolari preavvisi, tipici del
vulcano, l’Etna minacciò Passopisciaro per almeno dieci giorni.
Il quotidiano La Sicilia, così riporta l’evento: Si
prevede pure che Passopisciaro verrà investito in pieno dalla colata della
lava, almeno ché essa, in fortunatissima ipotesi, non passi ad una distanza di
200 metri ad ovest del paese stesso.
Passopisciaro fu preso d’assalto da giornalisti, curiosi,
dalle Forze dell’Ordine insieme ad una sorta di Protezione Civile del tempo
subito pronta a farlo evacuare nel momento in cui ce ne fosse stato bisogno.
L’ansia prese la piccola comunità di Passopisciaro che si
rinchiuse in una preghiera collettiva.
Non rimase che chiedere l’intervento della celeste patrona,
Maria SS del Rosario, che fu prelevata e portata alla Colonna con lo sguardo
rivolto verso il vulcano, così come gli avi qualche decennio prima.
Padre Vincenzo Savoca, il parroco del tempo, insieme ad un
gruppo di pellegrini portarono una santa reliquia a ridosso del braccio di lava
più avanzato.
Dopo circa 20 giorni di paura in paese, di distruzione
di vigne e terreni coltivati, la lava si
fermò.
La notizia del pericolo che Passopisciaro corse fu
riportata da varie testate giornalistiche, italiane e straniere, mentre della
storia della colata è possibile leggere nel testo del prof. Salvatore Cucuzza
Silvestri, L’eruzione dell’Etna del 1947, del 1949.
Presente il Governo Nazionale, il ministro On. Mario Scelba
venne a Passopisciaro lasciando al parroco del tempo del denaro, come primo
intervento di aiuto alla popolazione, promettendo che le istituzioni si
sarebbero fatto carico dei disastri causati dalla colata.
Tentativo di Autonomia
Il 29 maggio 1949 è una data assai importante per la vita
politica passopisciarese.
La voglia di emergere, la coscienza delle proprie
potenzialità, la ricerca di una propria identità, porta gli abitanti di
Passopisciaro a chiedere il distacco da Castiglione di Sicilia e cercare
nell’autodeterminazione quel progresso, quello sviluppo, quella vita migliore
che probabilmente questa nuova condizione avrebbe portato.
Si misero in campo una serie di iniziative per giungere allo
scopo prefissatosi dai passopisciaresi del tempo, come l’aiuto dei paesi vicini
per giungere insieme a quella tanto agognata autodeterminazione.
Ma tale richiesta d’aiuto però non venne accolta per cui
Passopisciaro provò ad andare avanti lo stesso, con le proprie forze, contro
tutto e tutti, nonostante l’ovvio ostacolo posto dal comune castiglionese.
Sembrava cosa fatta, sembrava che il sogno tante volte
accarezzato si potesse esaudire, invece, quel sogno si infranse il primo marzo del
1951 con la risposta negativa della Prefettura catanese.
Se Passopisciaro ne avrebbe avuto vantaggi o no, da una
eventuale autonomia, non lo sapremo mai.
Gli anni 50/60 e la Seconda Grande Emigrazione
Non fu facile curare le ferite lasciate dalla guerra, che
siano state esse fisiche o psicologiche, ma si doveva sopravvivere per loro
stessi e per i loro figli, per cui si cercò di ripartire con le uniche cose che
la guerra non era riuscita a portare via: la dignità e la terra.
La terra dava legna, dava frutto, dava erbe spontanee e dava,
soprattutto, la vigna.
Timidamente si provò a far ripartire la macchina economica,
che sino ad allora era stata la forza propulsiva di questo paesino, con la
coltivazione delle vigne e di tutto il suo indotto.
Ma tale forza propulsiva ebbe a cedere a causa della crisi
dell’intero comparto vitivinicolo che non trovò più collocazione sui mercati, e
la crisi che ne derivò provocò l’abbandono progressivo delle campagne, sia da
parte dei proprietari che degli stessi contadini, con il conseguente
svuotamento del paesino di giovane forza lavoro facendolo non solo svuotare
numericamente ma invecchiare.
Le mete della seconda grande emigrazione furono ancora Stati
Uniti d’America, il Brasile, Argentina e la lontana Australia.
Rimasero i pochi che si erano impiegati nelle aziende
statali, Anas, Poste e Circumetnea in primis, e i pochi che ebbero il coraggio
di ripartire con la oramai poco redditizia vitivinicultura.
Negli anni 60 non assistiamo ad un vero boom economico ma al
trascinamento della vecchia economia agricola che continua nel suo lento
regredire sino ad annullarsi quasi del tutto.
Così pure le vecchie distillerie che piano muoiono in un
inarrestabile declino sino alla loro chiusura, e questo nonostante il tentativo
di farle rinascere.
Il lavoro in vigna ha come scopo il sostentarsi, perde il suo
scopo imprenditoriale e la mancata modernizzazione, meccanizzazione, la perdita
di mercato del prodotto vino, l’elevazione del costo del lavoro, la giusta
rivendicazione sindacale degli operai, spinge i grossi proprietari
all’abbandono dei loro poderi.
Molti ragazzi scelgono di abbandonare i loro luoghi di
origine.
Inizia il lento e inarrestabile svuotarsi di Passopisciaro
dei suoi giovani.
Gli anni 70 e la Terza Grande Emigrazione
Il trascinarsi dei problemi atavici porta i ragazzi alla
dolorosa scelta dell’emigrazione.
Stavolta non più oltreoceano ma in Francia, Svizzera,
Germania e le grandi città del nord, Milano su tutte.
Altri giovani, con l’aiuto dei genitori, che non vogliono per
i loro figli la loro stessa vita di stenti, sono spinti allo studio, dando vita
a quella generazione di laureati, medici soprattutto, che tanto si sono
distinti nella loro professione che però li ha portati fuori da Passopisciaro
verso centri più grossi.
Passopisciaro ancora una volta si svuota, si invecchia, ma
non muore.
Resistono i servizi, resiste qualche bottega artigiana, un
numero incredibile di alimentari, cinque, per una piccola realtà.
Passopisciaro ha il suo cimitero.
Gli anni 80 e 90
È questo un periodo di grande sonnecchiamento ma non di
estrema crisi.
Passopisciaro sopravvive!
Ancora agricoltura che permette la vendita dell’uva, del vino
e dell’olio.
Nascono piccole imprese edili, resistono le piccole realtà
artigianali, nascono nuove realtà vinicole dedite all’imbottigliamento, una
grossa novità per l’Etna.
Ritorna l’edicola, nasce la pasticceria, rimangono gli
empori, alimentari, macellerie, distributore di benzina, panificio, tabacchi,
oleifici, ufficio tecnico, uffici comunali, i Carabinieri.
Insomma, non male per un piccolo paesino di 500 abitanti.
Il lavoro stagionale nei boschi dell’Azienda Forestale mette
in circolo del denaro che crea altro lavoro.
Si chiama ammortizzatore sociale.
Nascono nuove abitazioni, il paese assume un nuovo aspetto
grazie anche alla cura dell’urbanistica.
Un evento rovinoso ha dato vita al rinnovamento del centro di
Passopisciaro, le vecchie scuole elementari, distrutte da un incendio nel 1982,
hanno lasciato spazio alla piazza intitolata al nostro più esimio concittadino:
Ettore Majorana.
La Rinascita degli anni 2000
ILSOLE24ORE 16 Gennaio 2015 - Passopisciaro, dove l’Etna
diventa piccola Borgogna di Mauro Giacomo Bertolli:
Passopisciaro è una frazione di Castiglione di Sicilia….
Siamo sul versante Nord dell’Etna, in una zona dalla millenaria tradizione
vitivinicola……….Viticoltori locali, imprenditori provenienti da tutta Italia e anche
dall’estero hanno creduto nelle potenzialità di questo territorio, nella magia
del vulcano, con territori anche vicini profondamente diversi a seconda della
colata lavica da cui nascono, grandi differenze tra un’annata e l’altra e
caratteristiche del vino così peculiari rispetto al resto della Sicilia, da
farne una potenziale piccola Borgogna…….Tra le zone più vocate di tutto l’Etna
vi è proprio Passopisciaro.
LASTAMPA 12/04/2012 - Rivoluzione enoica a Passopisciaro -
Tra i luoghi del gusto oggi c'è Passopisciaro in Sicilia - Giancarlo Gariglio:
Ogni grande terroir viticolo ha un borgo che più di altri lo
rappresenta: la Borgogna ha Gevrey-Chambertin, la Langa ha Barolo, la Toscana
ha Montalcino…. Chi ha avuto la fortuna di salire sulle pendici del vulcano per
scoprire i suoi vigneti centenari avrà notato come la stragrande maggioranza
delle aziende più interessanti si trovi a Passopisciaro…
Questi estratti di articoli di giornale sono il sunto di
quello che Passopisciaro vive in questo decennio; una vera e propria rinascita.
Ma torniamo un attimo indietro.
Sino alla fine degli anni 90, se non per qualche esempio,
quasi più nessuno credeva nella vitivinicoltura sull’Etna e al potenziale che
il nerello mascalese potesse esprimere in bottiglia poi, l’arrivo di alcuni
produttori, ha dato vita alla rinascita di un territorio oramai depresso da un
cinquantennio.
Andrea Franchetti, Marc De Grazia e Frank Cornelissen, hanno
dato il via a quel movimento di rinascita dell’Etna e spianato la strada ad una
schiera di produttori locali e non, dando respiro mondiale al prodotto Etna
tanto da essere apprezzato, in poco più di un decennio, in tutto il mondo.
Passopisciaro, per sua fortuna, si trova al centro di questa
rinascita, attorno ad esso, infatti, si trovano non solo un numero
considerevole di aziende, tra piccole e grandi, ma le colonne portanti di questo
risveglio dell’Etna.
Ma di questo orgoglio, Passopisciaro e tutto il territorio,
ne dovrà far virtù inserendosi in questo processo virtuoso per ritornare ad
essere, come cento anni fa, uno dei luoghi più importanti della provincia di Catania.
Ma non pare rendersene conto.
Seppur, in qualche modo, l’economia vitivinicola ha dato
lavoro a molti componenti delle famiglie passopisciaresi, un movimento
enoturistico tangibile, non c’è una vera consapevolezza del potenziale che
questo paesino può esprimere in campo turistico.
Si assiste, perciò, nonostante il risveglio economico, ad un progressivo
abbandono del paesino e, soprattutto, il male intrinseco di cui Passopisciaro
soffre: la disaffezione di chi ci abita.
Impoverendosi, Passopisciaro ha perduto tanti servizi e
esercizi commerciali.
Ma Passopisciaro spera ancora.